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Vorresti sapere come riconoscere e risolvere le penalizzazioni di Google? Oggi sul nostro blog affrontiamo proprio questo tema importante!

Google non è solo il più importante e utilizzato motore di ricerca al mondo, ma è anche un ecosistema, un luogo virtuale che ospita da anni milioni di contenuti e che ha dovuto adattarsi alla crescente fame di informazione degli utenti.

Come ha potuto farlo?

Tramite le numerose modifiche del suo algoritmo, ovvero quell’insieme di processi informatici che riescono a categorizzare in maniera decrescente i risultati delle ricerche, che permette di mostrare agli utenti solo quelle che realmente corrispondono alle loro necessità.

Da qui scaturisce il desiderio di qualunque azienda, e-commerce o blog di situarsi tra le prime pagine della SERP di Google ed essere considerati una risorsa affidabile sia dagli utenti che dallo stesso motore di ricerca.

Studi recenti, infatti, evidenziano che un sito che si trova in prima posizione su Google guadagna il 41,87% dei click da desktop e il 34,78% da mobile.

La visibilità della prima pagina e il ritorno economico che si può avere è quindi così alto da spingere praticamente tutti i webmaster ad affinare al massimo le proprie tecniche SEO!

Però, per non crearti ulteriori confusioni, considerando che la tematica che stiamo affrontando oggi è già di per sé complessa, ci tengo a ricordarti che Google non offre solo un posizionamento a livello organico, ossia quello ottimizzabile attraverso le tattiche SEO, bensì anche uno a pagamento, tramite Google Ads e le campagne di pay-per-click (PPC).

Per quanto Google possa sembrare imparziale rispetto alle ricerche degli utenti, infatti, è pur sempre un motore creato da un’azienda privata che è interessata a monetizzare i servizi offerti.

Nonostante ciò, Google monetizza solo il 20% del suo traffico attraverso i collegamenti sponsorizzati di Google Ads e gli annunci pubblicati sui siti dei webmaster iscritti al programma AdSense: dunque, il rimanente 80% del traffico va verso i risultati del motore organico, ossia quelli posizionati subito dopo gli annunci a pagamento.

Questo perché i valori principali che Google difende di fronte ai propri clienti ed investitori sono quelli della trasparenza, della credibilità e della gratuità!

 

Google-Penalty.jpg

Quindi, come dicevamo, è nell’interesse di Google fare in modo che la ricerca organica, non a pagamento, fornisca sempre risultati credibili che rispondano nel modo più preciso possibile agli interessi degli utenti.

Da qui nasce la necessità di penalizzare qualunque sito non nutra gli stessi valori del motore di ricerca che lo ospita!

Le penalizzazioni sono delle dure azioni di tutela da parte di Google contro quei proprietari dei siti che violano le linee guida sul posizionamento, sotto forma di un effetto negativo inflitto alla visibilità del suo sito nei risultati organici.

Quindi, se il traffico organico del tuo sito diminuisce improvvisamente e vedi un corrispondente declino dei posizionamenti, c’è una buona possibilità che tu sia stato penalizzato da Google, manualmente o in modo algoritmico.

 

Per che tipo di violazioni Google impartisce delle penalizzazioni?

 

Prima di tutto, è utile sottolineare che le Penalizzazioni Manuali sono quelle inferte da un team antispam di Google che potrebbe aver identificato un problema sul tuo sito ed emesso appunto un’azione manuale determinata da un intervento umano.

Dall’altro canto, le Penalizzazioni Algoritmiche sono quelle determinate dall’aggiornamento dell’algoritmo di Google, che potrebbe causare un calo brusco nelle SERP, e si suddividono in due categorie: quelle inferte dall’algoritmo Panda e quelle dell’algoritmo Penguin:

  • Le penalizzazioni Panda riguardano il contenuto e l’usabilità del sito nel suo complesso. Un contenuto di scarso valore o copiato da altre fonti viene penalizzato;
  • L’algoritmo Penguin può colpire chi abusa di schemi di link oppure over-ottimizza, focalizzandosi quindi non tanto sui contenuti ma sul link building.

Un aspetto interessante è che la penalizzazione può riguardare un insieme di keywords, una pagina o persino l’intero sito: nell’ultimo caso, il rischio più grosso è dato dal fatto che, oltre a perdere posizioni su più parole chiave, si finisce inevitabilmente per scomparire dal motore di ricerca.

Se la penalizzazione è grave, infatti, non sarà possibile ritrovare il dominio, che pertanto sarà stato cancellato dall’indice di Google. Lo scenario della rimozione totale, ossia il banning, è comunque meno frequente di quanto si pensi, e spesso la penalizzazione comporta solo la perdita di posizioni, seppur pesanti.

Di fronte a perdite lievi, invece, non bisogna parlare di penalizzazione, ma di fluttuazione fisiologica, tipica dell’andamento di Google, causata spesso dal fatto che:

  • La concorrenza si sia mossa per guadagnare posizioni, scavalcando il tuo sito;
  • Alcuni dei link in entrata che stavano concorrendo a posizionare bene il tuo sito hanno subito una svalutazione.

In linea di massima, quindi, Il modo più rapido per capire se il sito è stato penalizzato attraverso un’azione manuale è quello di verificare la presenza di una segnalazione all’interno della Google Search Console.

Google-Penalty-panda_penguin.jpg

 

Se la penalizzazione, invece, non viene indicata da Google, potrebbe diventare difficile individuare la tipologia che ti è stata inflitta!

Ma niente paura: nonostante ci sia ancora parecchia confusione sull’argomento, esistono degli strumenti tecnici ed empirici per valutare una penalizzazione, individuarla, effettuare delle correzioni e tentare la risoluzione.

 

Penalizzazioni dell’algoritmo Penguin

Google Penguin Update, rilasciato a partire dal 2012, è quell’algoritmo fondamentale che prende di mira i siti che presentano profili link non naturali e mettono in atto pratiche di acquisizione di link a pagamento, premiando invece i siti che ricevono link in maniera naturale grazie alla qualità dei loro contenuti.

I comportamenti manipolatori che Google considera sufficienti per innescare una penalizzazione non sono molti, ma sono gravi e possono condannare il lavoro di anni.

 

Troppi link in entrata di scarsa qualità

Le tecniche di link building sbagliate sono la prima causa di penalizzazione Penguin.

Avere troppi link in entrata di bassa qualità, infatti, può sollevare un flag e comportare la penalizzazione, peggio ancora se si è andati ad over-ottimizzare l’anchor text, ossia la keyword con la quale si collega un altro sito al nostro.

Se vuoi andare sul sicuro, tieni a mente che meno del 10% dei link dovrebbero essere puntati con la parola chiave, e il puntamento dovrebbe essere coerente con il testo che contiene il backlink.

Partecipazione a schemi di link

Anche acquistare o vendere pacchetti di link può portare a una penalizzazione, soprattutto se si partecipa ai cosiddetti “schemi di link”, ossia link inseriti in siti collegati tra loro appositamente con l’intento di formare una rete che attiri traffico organico.

Google può facilmente scoprire lo schema attraverso dei pattern, cioè degli elementi in comune che riscontra nei vari siti, e considerarlo quindi una violazione delle istruzioni per i webmaster.

Troppi backlink non tematici

La pertinenza del tema è fondamentale: i tuoi link dovranno infatti essere tematici, ossia inseriti all’interno di una pagina che parla di quel determinato argomento, in modo omogeneo e pertinente.

Diversamente, la penalizzazione è dietro l’angolo: ecco perché ti consigliamo vivamente di evitare di produrre backlink di scarsa qualità!

 

Penalizzazioni dell’algoritmo Panda

Per quanto riguarda invece le penalizzazioni Panda, devi sapere che questo algoritmo nasce nel 2011 con lo scopo di penalizzare tutti quei siti che non propongono contenuti di valore e affidabili, privilegiando quelli che invece forniscono risposte chiare e precise agli utenti.

Di conseguenza, l’algoritmo punta a eliminare dalla SERP i siti che presentano contenuti duplicati internamente o esternamente, contenuti inutili o di bassa qualità e siti pieni di banner invasivi e che over-ottimizzano i contenuti.

 

Keyword nascoste nel testo

Inserire del testo nascosto con delle keyword rilevanti per forzare il contenuto e manipolare i risultati di ricerca è una di quelle tattiche che porta dritta alla penalizzazione.

Ma Google vieta, in tal senso, anche la pratica del cloaking, cioè il forzare un redirect sulla pagina raggiunta dagli utenti del motore di ricerca, per costringerli a visitarne un’altra, o mostrare contenuti differenti a seconda dello user agent che richiede una determinata risorsa web. Un classico esempio consiste nel mostrare a un utente umano un contenuto, mentre ai bot dei motori di ricerca un altro più ottimizzato ai fini di ranking!

Allo stesso modo, viene considerata spam anche una pagina che non consente libertà di azione e forza l’utente a cliccare sulla pubblicità impedendogli di uscire dal sito.

Inoltre, tattiche meno subdole, ma comunque penalizzanti, derivano dall’abuso di alcuni tipici fattori di posizionamento, come le cosiddette “immagini compromesse”, ossia quando una o più immagini presenti sul verticale Google Images non corrispondono a quelle presenti sulla pagina di provenienza del tuo sito ma vengono manipolate ai fini di ranking.

Over-ottimizzare la keyword

Altra tecnica penalizzata è quella di over-ottimizzare la pagina con la keyword, ossia il classico tentativo – nemmeno troppo nascosto – di manipolare il posizionamento!

Ripetere la stessa frase esatta ovunque, esagerando, tra titoli di paragrafo, title tag, URL, tag per le immagini, ALT text, meta-description e link building, comporta una penalizzazione. Tutto ciò che sembra innaturale è infatti suscettibile di essere sanzionato.

Contenuto di scarsa qualità

L’algoritmo Panda, rivolgendosi appunto al contenuto, è in grado di analizzarlo e stabilire quale sia quello di qualità: pertanto, avere nel proprio sito delle pagine di contenuto molto scarso, irrilevante e che non aggiunge nulla a quanto presente sul web, può portare alla penalità.

Google, infatti, penalizza i siti che:

    • Hanno poco contenuto nelle loro pagine, ossia presentano testi poveri, vuoti, privi di senso, scritti male e irrilevanti;
    • Sono stati creati col solo scopo di posizionarsi su una specifica keyword;
    • Sono uguali ad altri testi presenti già nel sito;
    • Sono uguali, praticamente delle fotocopie, di altre pagine presenti sul web;
    • Presentano contenuti generati automaticamente;
    • Includono pagine affiliate senza valore aggiunto o doorway.

Oltre a ciò Google penalizza anche:

  • Siti costruiti male, che non privilegiano il contenuto, sono lenti e male ottimizzati, non presentano una sitemap chiara o magari sono stati sottoposti a una migrazione mal gestita;
  • Siti che non sono mobile-friendly, in quanto a partire da marzo 2018 Google ha iniziato a rilasciare il Mobile-first Index, priorizzando l’ottimizzazione mobile e considerando la versione mobile di un sito come la versione di riferimento per l’indicizzazione dei contenuti;
  • Siti che nessuno legge e nessuno visita perché gli utenti non vi trovano nulla di interessante o non corrispondono a quello che stavano cercando, tanto da ritenersi dunque ingannevoli e fuorvianti;
  • Pagine invase da pubblicità e spam di ogni tipo che in qualche modo ostacolano la lettura;
  • Testi che linkano a siti spam o pericolosi, appartenenti a nicchie considerate delicate come i casinò online, i contenuti per adulti e altre risorse pericolose;
  • Spam generato dagli utenti, soprattutto nei forum o nei commenti del blog;
  • Siti hackerati o che possiedono malware e che quindi mettono a serio rischio il computer dell’utente.

Come risolvere una penalizzazione

Tanto le penalizzazioni manuali, quanto quelle algoritmiche richiedono del tempo per essere risolte, e una penalizzazione manuale comporta un processo chiamato “Richiesta di riconsiderazione”.

Questa fase dev’essere preceduta comunque da una seria diagnosi della penalizzazione, in quanto è indispensabile conoscere quale algoritmo abbia penalizzato il sito, evitando di brancolare nel buio.

Innanzitutto, quindi, se non l’hai già fatto, dovresti collegare il tuo sito ad un account di Google Search Console, in quanto, come dicevamo prima, se è stata inferta un’azione manuale avrai sicuramente ricevuto un messaggio che indica la ragione per cui Google sta punendo il sito.

Se la penalizzazione è algoritmica, invece, non avrai ricevuto alcun messaggio e quindi dovrai cercare di capire che tipo di aggiornamento ne è la causa.

Google-Penalty-recovery.jpg

 

Il motore di ricerca, infatti, lancia periodicamente degli aggiornamenti sia Panda che Penguin, o dà vita a nuovi algoritmi, come l’ultimo arrivato della famiglia Google, Bert, basato su reti neurali in grado di comprendere meglio il linguaggio naturale umano.

Grazie a Moz possiamo conoscere la storia degli aggiornamenti di Google e verificare la data di inizio della perdita del traffico: ogni algoritmo, infatti, porta con sé dei piccoli o grossi cambiamenti, come abbiamo visto negli ultimi anni, e se la perdita secca di visibilità è vicina a un aggiornamento, è chiaro che sia lui stesso la causa!

Una volta che sappiamo da quale aggiornamento dipende, conviene documentarsi online e capire in che modo ci si possa adattare alla novità e recuperare il posizionamento.

Noi di YourTarget, comunque, facciamo spesso dei report sugli aggiornamenti importanti.

La verità è che, infatti, in questi casi la soluzione migliore è proprio quella di affidarsi a un consulente SEO esperto, in quanto solo dopo aver eliminato la causa della penalizzazione è possibile iniziare il percorso di riabilitazione!

Inviare la richiesta di riconsiderazione a Google

Attraverso questa pagina è possibile dare avvio al processo di riconsiderazione, scrivendo l’apposita richiesta.

Google pretende che siano già state esperite tutte le possibili azioni e lo chiede perché vuole un’autocritica del webmaster o del SEO che ha condotto delle azioni passibili di penalizzazione.

Per Google non basta chiedere scusa: bisogna motivare il perché siano state adottate delle tecniche di manipolazione, dire cosa è stato fatto per rimediare e poi sperare che il team manuale accetti la richiesta.

Questa normalmente avviene con una comunicazione, sempre fatta sul Search Console di Google (il vecchio Webmaster Tools), in risposta all’azione manuale precedentemente inferta. La fase di revisione da parte di Google, in genere, può richiedere da pochi giorni ad alcune settimane.

Diverso è invece il discorso sulla capacità del sito di riconquistare le posizioni perse: se esse dipendevano da abusi, quasi sicuramente saranno perdute per sempre e bisognerà ricominciare da capo con una buona strategia SEO e contenuti di qualità.

Credi sia arrivato il momento di affidarti a un buon consulente SEO e ottimizzare il tuo sito web per scalare la ranking? Non perdere altro tempo: contattaci subito per ricevere una consulenza gratuita!

Questo articolo è stato originariamente pubblicato il 10/04/2017 e aggiornato il 12/11/2019.

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