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Tutti parlano di Growth Hacking ma nessuno lo conosce. Abbiamo intervistato Giorgio Fatarella, digital marketer e Growth Hacker che ha fatto per noi una panoramica di questo nuovo approccio al marketing.

Il Growth Hacking è una delle parole connesse al marketing più cercate online. Ma esattamente di cosa si tratta? Come può aiutare la tua azienda? Abbiamo intervistato Giorgio Fatarella, digital marketer e growth hacker che ha fatto per noi una panoramica di questo nuovo approccio al marketing.

Growth hacking. Oggi assistiamo ad una vera e propria esplosione. Tutti ne parlano ma nessuno lo conosce a fondo. Ci faresti una panoramica?

Michael Brenner, ex capo marketing di SAP e uno dei maggiori influencer a livello mondiale per il tema del Marketing,  ha detto a proposito del Growth Hacking:

Il Growth Hacking è marketing. È il futuro del marketing ed è quello che il marketing sarebbe dovuto essere fin dall’inizio.

Quindi in pratica oggi, che cos’è il Growth Hacking?

Qui riprendo volentieri la definizione di Wikipedia, quella riadattata dal mio amico Raffaele Gaito:  

“Il Growth Hacking è un processo di sperimentazione rapida sul prodotto e sui canali di marketing per trovare il modo più efficiente per far crescere un business”.

Il Growth Hacking è quindi un approccio, un metodo che rappresenta l’evoluzione del marketing digitale (che oggi è possibile!) con in più la produzione e l’accesso ai dati.

In definitiva un modo di pensare e un metodo con elementi totalmente diversi rispetto al marketing che si studia all’università, ossia quello che tradizionalmente parte da: promozione e pubblicità!

Ecco il punto: con il Growth Hacking non si parte più dalla pubblicità ma dal prodotto.

Non si parte più dall’idea che il prodotto o una strategia siano la migliore e giusta soluzione possibile, perché è una nostra idea, e chiusi in azienda dove si pensa e decide tutto.

Fare marketing digitale oggi non significa più solo promuovere un prodotto, ma crearlo e svilupparlo confrontandosi costantemente con i dati.

Il prodotto diventa quindi per chi deve promuoverlo sui canali, parte attiva di un processo di ottimizzazione continua dove i marketers lavorano fianco a fianco con gli ingegneri per creare il miglior prodotto possibile per i clienti, verificandolo costantemente con i dati.

 

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Quindi: il Growth Hacking cosa permette?

Abbina gli utenti/clienti al prodotto in modo attivo e diretto.

Il “prodotto migliore” quindi, non è più il risultato di “questo mi piace di più!”

ma diventa l’output di un processo che inizia con l’idea, lo sviluppo e il lancio di una versione base del prodotto, una beta continua insomma, che viene poi arricchita grazie a continue analisi quantitative e qualitative degli utenti/clienti.

“L’analisi di mercato e di posizionamento, lo studio di brand concorrenti, e i focus group diventano una attività continua che entra a far parte della strategia evolutiva del prodotto beta.”

L’analisi di mercato e di posizionamento, lo studio di brand concorrenti, e i focus group diventano una attività continua che entra a far parte della strategia evolutiva del prodotto beta.

Gli utenti non sanno esattamente cosa vogliono come nemmeno noi, non sappiamo esattamente qual è la strategia migliore, quindi ecco perché è necessario sperimentare.

In un contesto soprattutto come quello di oggi dove ormai c’è sempre maggiore incertezza per i repentini cambiamenti tecnologici, dove i canali online e offline sono sempre più affollati, dove il consumatore è poco affezionato e sempre più informato, dove dobbiamo scegliere i canali, il claim, i contenuti, le campagne promozionali e mentre da una parte c’è una attenzione degli utenti sempre più scarsa, dall’altra c’è la necessità di crescere e raggiungere risultati e obiettivi aziendali sempre più in fretta, senza lasciare inesplorata nessuna opportunità, ecco che allora sperimentazione continua diventa  l’attività necessaria in un processo di Growth Hacking.

Insomma solo i dati sono in grado di farci capire cosa funziona e cosa invece è necessario cambiare perché i clienti continuino a utilizzare il prodotto o il servizio nel tempo.

Quale è quindi il profilo del growth hacker e quali sono le figure di riferimento con le quali devi necessariamente interfacciarsi all’interno di un’azienda?

Raffaele Gaito (sicuramente uno dei massimi esperti nel Growth Hacking in Italia) nel suo libro scrive:

Il Growth Hacker, è una persona ossessionata dai dati, ma che fa leva su una forte creatività. Pensa con un orientamento al marketing, ma senza dimenticare la concretezza del prodotto. Vuole far crescere il suo business, ma sa che deve mettere l’utente al centro di tutto.

 

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Nel Growth Hacker come persona, si fondono bene quindi, due approcci, ma anche due modelli di pensare e di essere preparati: la multidisciplinarietà e la multipotenzialità.

Entrambi i due concetti definiscono così un profilo antitetico a quello dello specialista e delineano persone che non hanno un’unica vera vocazione, ma in virtù dei molteplici interessi, conoscenza e curiosità, sono in grado di sviluppare competenze e capacità in ambiti diversi.

Non basta quindi aver letto un paio di libri americani sul tema per diventare Growth Hacker!

Per un consulente poi che, si trova oggi a collaborare con una azienda significa prima di tutto cercare all’interno persone con le tre qualità più importanti che definiscono un Growth Hacker:

  1. Un mindset data-driven. In molti dicono di utilizzare approcci data driven quando in realtà usano solo un approccio data-informed. Hanno configurato l’analytics, sanno cosa succede ma poi il rapporto, l’analisi e l’interpretazione dei dati finisce lì.

  2. Una formazione “a T” o, semplicemente, multidisciplinare. Come ho già detto prima, un Growth Hacker che si rispetti lavora su diversi ambiti. È importante avere un minimo di formazione ma anche esperienza sui processi aziendali, le funzioni e le interconnessioni fra le funzioni, sulla UX, sulla psicologia e i comportamenti, sul copywriting, eccetera.

  3. Creatività e apertura mentale. Tutto questo parlare di dati rischia di far passare il messaggio che il Growth Hacker non abbia creatività. Anzi, è fondamentale avere una grande apertura mentale e una buona dose di creatività e analizzare il dietro le quinte di un prodotto o servizio, ma non solo in termini di dati e numeri. Una cosa che faccio spesso è, ad esempio, capire se una tecnica, un approccio, un processo che ha funzionato in un determinato settore può funzionare in un altro.

Gli aspetti di creatività a cui mi riferisco sono fondamentali soprattutto quando ti trovi di fronte a un nuovo prodotto/servizio o mercato.

Io mi chiedo sempre (e l’ho fatto per anni, anche quando non c’era il digitale): perché hanno fatto questa cosa qui? Chissà se posso utilizzare questa soluzione anche con quel cliente o in quel mercato? E se qui invece ci fosse quest’altra cosa o si verificasse questa situazione?

E se all’interno dell’azienda del cliente non ci sono figure con queste caratteristiche ?

La prima cosa importante e essenziale è capire se chi è a capo dell’azienda vuole veramente fare questo percorso e aprirsi a questo processo per far crescere rapidamente la sua azienda e la sua attività.

Se la risposta è affermativa si possono aprire altre strade ma se fosse negativa è meglio lasciar perdere.

 

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Tu sei un esperto di growth hacking e di digital sales. In che misura sono collegate questi due rami del marketing?

Il Growth Hacker:

  • È una persona con un forte spirito imprenditoriale, che corre dei rischi e se ne assume le responsabilità. È disciplinato: perché il growth hacking è un processo con passi ben definiti;
  • È un leader. Il growth hacking è un’attività collettiva che coinvolge tutto il team e impatta il prodotto in maniera profonda. Ecco perché la persona a capo di questo progetto dovrebbe avere le competenze e le caratteristiche di un leader per coinvolgere tutto il gruppo;
  • È orientato ai dati;
  • Gestisce il processo.

 

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In senso pratico, il growth hacker è un marketersa che dopo la strategia bisogna combinare diversi canali come la SEO, il content, il social, l’advertising, l’e-mail marketing, l’Automation, il traffico e molti altri per avere attenzione, educare, e convertire un utente visitatore in un cliente.

Un growth hacker sa gestire in base alle strategie, campagne pubblicitarie avendo cura di scegliere le piattaforme più adatte e performanti, è in grado di gestire budget e bidding, selezionare e validare il target e ottimizzare la creatività con l’obiettivo di ottenere conversioni.


Infine, il growth hacker sa raccogliere, analizzare e interpretare i dati raccolti cercando risposte in strumenti di analytics e di reporting.

Questo aspetto è determinante perché il coordinamento e l’analisi di queste attività permette di capire cosa sta funzionando e cosa, invece, va modificato.


La Digital sales poi è il naturale completamento a valle dell’attività di Growth Hacking.

Con i giusti processi di Digital sales le aziende possono creare un valore significativo a lungo termine, progettare e adottare soluzioni di vendita digitale end-to-end e far crescere il valore patrimoniale per l’azienda stessa.

Utilizzare quindi soluzioni e strumenti collaudati e coerenti sia con la strategia, che per la specifica organizzazione di vendita dell’azienda, impostare le attività giornaliere e le priorità, aprire nuovi canali  e rafforzare quelli esistenti, tutto questo diventa da una parte, il necessario completamento delle attività svolte a monte, inviare a monte, quella parte di informazioni provenienti dal territorio, e dall’altra, consente alle aziende stesse oggi, utilizzando il digitale, di ridurre i costi, aumentare le entrate, migliorare l’esperienza del cliente e contemporaneamente far crescere e  fidelizzare la rete di vendita.

Alla base del growth hacking c’è la sperimentazione continua. In base alla tua esperienza perché la classe imprenditoriale media continua a temere le strategie che “vanno fuori dagli schemi”?

Dalla mia esperienza imprenditoriale di molti anni, sia nell’avvio e sviluppo di startup, che nella gestione di imprese, ti posso dire che normalmente chi è a capo di una azienda si crea i suoi 6,8, o 10 punti fissi di riferimento all’interno dell’azienda stessa che gli consentono di capire e prendere decisioni.

Andare fuori dagli schemi e adottare nuovi strumenti e nuove strategie non è né facile né semplice perché il più delle volte significa adottare nuovi punti di riferimento; nuovi dati e nuovi significati di questi dati, non ancora verificati e collaudati dal tempo.

 

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È per questo motivo che, per chi gestisce un’azienda, un fatturato, e utili non è facile, è necessario affiancare al vecchio anche il nuovo e di conseguenza, fare un percorso di affiancamento che consenta di validare i nuovi parametri.

Parametri che diano certezza di significato e che derivino da dati digitali prelevati nei punti giusti, verificati monitorati e rivalidati di continuo e tutto questo continuo riferimento tra vecchio e nuovo è molto difficile.

Molte volte la cosa più semplice  è quella del cambio generazionale o di una startup.

Osare, soprattutto sui social, è la parola d’ordine. Quali sono secondo te i tre brand che lo fanno meglio?

Non conosco a fondo l’uso approfondito dei vari social in azienda.

Da specialista dell’uso di Linkedin e Sales Navigator in azienda finalizzato alla Lead generation invece, ti posso dire che poche sono veramente le aziende che adottano questo strumento e lo inseriscono nella loro strategia commerciale.

Linkedin per uso aziendale e commerciale è molto sottovalutato e poco adottato intanto perché la digitalizzazione stessa per le persone di vendita (per ignoranza nel senso etimologico della parola stessa) non è considerata un valido strumento.

A parer mio tutto questo accade soprattutto perché sia i direttori Marketing, che i direttori Commerciali, i direttori Vendite, i CEO stessi non sono informati e non vogliono cambiare; molto spesso, poi, si pensa che sia solo una cosa per grandi aziende.

Oggi invece il mercato, soprattutto il B2B è cambiato totalmente.

L’asimmetria informativa (per fare un esempio) che esisteva molti anni fa fra il venditore e il cliente non esiste più. Chi acquista sa cose, conosce soluzioni, (molte volte anche più del venditore) e si è informato molto bene prima di incontrare un sales.

Il cliente quindi vuole altri supporti, informazioni, un vero valore aggiunto di esperienze di relazioni e di modalità di gestione e di assistenza di diverso spessore ed è questo che fa la vera differenza.

Essere organizzato digitalmente, disporre di dati e di informazioni porta quindi il venditore, e l’azienda stessa, ad un livello superiore, ed è questo che alla fine fa la vera differenza al momento della decisione di acquisto.

 

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