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Come integrare nuove strategie come il Growth Hacking nelle tue attività di marketing tradizionale se lavori nel settore industriale? Ce ne parla Raffaele Gaito

Analizzare le difficoltà dei nostri clienti è, per noi di YourTarget, il momento fondamentale per comprendere come aiutarli a trovare la soluzione per loro più ottimale. Quando la sfida più grande diventa stare letteralmente al passo con i tempi, non c’è altra soluzione se non abbracciare il cambiamento utilizzando i nostri migliori punti di forza. Ma in che modo?

Lo abbiamo chiesto a Raffaele Gaito, Imprenditore Digitale esperto in Growth Hacking e Startup Mentor (oltre che eccellente Blogger), per capire come le imprese del settore industriale possano integrare nuove strategie come il Growth Hacking nelle loro attività di marketing tradizionale.

Ecco i trucchi che ci ha svelato.

Ciao Raffaele, grazie per essere qui con noi oggi. Aiutaci a comprendere meglio la tua professione: ci potresti dare una definizione del concetto di Growth Hacking?

Grazie a voi del tempo e dello spazio che mi avete dedicato!

Quando si parla di Growth Hacking, le definizioni che si trovano in rete sono davvero tante e molto diverse tra di loro perché, ovviamente, ognuna guarda alla cosa da un punto di vista diverso.

Io personalmente sono un grande fan della definizione data da J. Wanamaker:

“Il Growth Hacking è un processo di sperimentazione rapida sul prodotto e sui canali di marketing
per trovare il modo più efficiente di far crescere un business”

Mi piace molto perché in un’unica frase riesce ad evidenziare gli aspetti fondamentali di questa metodologia:

  • Processo: il growth hacking non è un’attività una tantum, ma un processo
  • Sperimentazione: la chiave del growth hacking è il testing continuo, di tutti gli aspetti
  • Crescere: l’obiettivo unico del growth hacking è la crescita del business
  • Efficiente: ovviamente si punta ad una crescita efficiente, sostenibile e scalabile

Per aggiungere qualcosa in più a quello detto fin’ora e per andare un po’ più sul piano concreto, io descrivo il Growth Hacking come l‘intersezione di “marketing digitale”, “product development” e “data analysis”.

 

 

Ai miei studenti e clienti dico sempre questo prima di iniziare un percorso insieme: il growth hacking serve per farti capire che prodotto e marketing vanno di pari passo e che nel tuo business puoi fidarti di una sola cosa, i dati.

 

Sappiamo che hai lavorato per lungo tempo a supporto delle startup, anche in ambito industriale. Vi sono degli elementi di Growth Hacking che ritieni più utile implementare in questo settore?

Il Growth Hacking ha molti aspetti al suo interno, proprio perché si tratta di una disciplina che attinge a molti elementi già esistenti: framework, metodologie, modelli e così via.

Raramente consiglio di “spacchettarlo” e prendere solo alcuni elementi, proprio perché si perderebbe l’essenza del Growth Hacking in quanto processo e si utilizzerebbe solo uno dei suoi aspetti.

C’è però un punto sul quale io calco sempre la mano e che metto come assoluta priorità rispetto a tutto il resto e questo punto è il mindset. Anzi, proprio per rafforzare questo concetto io dico spesso che il Growth Hacking è prima di qualsiasi altra cosa un mindset.

E questo è un aspetto fondamentale che possono implementare aziende di ogni tipo: dalle piccole startup alle grandi multinazionali, da quelle digitali a quelle tradizionali.

E infatti, a conferma di tutto ciò, negli ultimi anni si sta vedendo come grosse aziende, attratte dal Growth Hacking, lo stiano implementando al loro interno, prima in termini di mindset e poi in termini di processo.

Ma cosa significa vivere il Growth Hacking come mindset? Significa partire dal presupposto che le opinioni non contano nulla, ma contano solo i dati. Significa testare qualsiasi aspetto di prodotto o di marketing prima di scalarlo su grandi numeri. Significa avere un contatto totale e costante con i propri clienti. Significa raccogliere dati qualitativi e quantitativi in qualsiasi fase di vita della propria azienda. Significa abbracciare il fallimento come uno step importante nel processo di crescita.

 

In merito all’utilizzo del marketing classico, ha ancora senso, secondo te, partecipare alle fiere di settore?

Assolutamente si!

Anzi, ti dirò di più, nel famoso libro “Traction” di G. Weinberg e J. Mares, dove vengono illustrati tutti i canali attraverso i quali un’azienda può fare acquisizione clienti, viene descritto e raccomandato anche il canale “fiere di settore”.

Io stesso consiglio a molti miei clienti di continuare ad utilizzare canali offline!

Non esistono i canali perfetti o i canali che funzionano con tutti i business. Ed è anche abbastanza ovvio, altrimenti li useremmo tutti e saremmo tutti ricchi.

Il fatto che Facebook Ads è semplice ed economico non è una buona motivazione per la quale tutti debbano fare Facebook Ads. Da questo punto di vista è importante uscire dalla propria “zona di comfort del marketing” e usare i canali che funzionano non quelli che ci piacciono.

Se quindi per una certa azienda le fiere di settore danno buoni risultati (perché magari gli danno una grossa esposizione o gli permette di ottenere molti lead o di chiudere grandi partnership strategiche) perché dovrebbe abbandonarle?!

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Data la tua esperienza sia come consulente d’impresa che come programmatore, cosa ne pensi dei cambiamenti che ha subito la programmazione di un sito web negli ultimi anni e quali sviluppi prevedi?

Sicuramente il cambiamento più importante è stato l’abbattimento completo (o quasi) delle barriere all’ingresso. Oggi non bisogna più essere un programmatore per mettere online un sito di ottima qualità, riesci a cavartela con i vari tool e servizi a disposizioni nei quali fai qualsiasi cosa: dall’impostare un hosting a comprare un tema, passando per la gestione dei contenuti e le integrazioni di terze parti.

Come sempre, quando si abbattono le barriere, ci sono risvolti positivi e negativi. Il fatto che chiunque possa realizzare un’attività di questo tipo significa anche che la qualità generale si abbassa, molte persone si propongono sul mercato con compensi più bassi e così via.

Dall’altro lato c’è sempre da considerare che in un mercato configurato in questo modo l’eccellenza paga. Forse la salumeria di paese si farà fare il sitarello da 100 euro dal cuginetto con WordPress, ma dall’altro lato la grossa azienda che percepisce il valore di un lavoro fatto bene si rivolgerà allo specialista con competenze avanzate.

E in fondo, se ci pensiamo, non è niente di nuovo. Questo è un processo abbastanza naturale che c’è sempre stato, in qualsiasi settore e mercato.

In un contesto del genere si salva (anzi, si evolve) chi riesce ad adattarsi velocemente studiando di continuo i trend del mercato e lavorando solo sull’eccellenza.

I trend li conosciamo tutti e sono un po’ gli stessi che si ripetono negli ultimi tempi. Col rischio di fare l’elenco di buzzword cito: tutto il filone dell’intelligenza artificiale e del machine learning; tutto ciò che riguarda i bot e dintorni; l’evoluzione dalle SPA (Single Page Application) alle PWA (Progressive Web Application); il salto di qualità dei grossi framework Javascript in circolazione; i primi siti ottimizzati per la realtà virtuale; e così via.

Ce ne sono di cose da studiare lì fuori…

 

Hai qualche consiglio per piccole e medie imprese con obiettivi di crescita nel settore industriale?

Rischiando di essere ripetitivo voglio ribadire tre concetti che ho già accennato nelle risposte precedenti:

  1. Marketing e prodotto sono la stessa cosa.
    Non pensate di lavorare sul prodotto per mesi (o peggio anni) e poi “pensare al marketing” quando avete finito lo sviluppo. È un errore gravissimo e, soprattutto, costosissimo. Mi permetto di usare una bellissima citazione di Ryan Holiday che dice “il growth hacker è qualcuno che non vede il marketing come un qualcosa da fare ad un certo punto, ma come qualcosa da costruire nel prodotto fin da subito”.
  2. Fidatevi solo dei dati.
    Quando si parla di business non esistono i “se” e i “ma”. Non esistono i “secondo me” e i “io penso che”. Non esistono decisioni prese sull’esperienza o sull’istinto. Esistono solo i dati. I dati non mentono mai e dovrebbero essere la bussola che vi permette di regolarvi nelle notti buie e senza stelle.
  3. Parlate con i vostri utenti.
    Il terzo consiglio è un po’ la perfetta conclusione e completamente dei primi due. Parlare con i propri clienti serve, infatti, a raccogliere tanti dati utili e, di conseguenza, a sviluppare un prodotto basandosi fin da subito sulle reali esigenze del mercato.

growth hacking ryan holiday intervista a raffaele gaito

 

Proprio su questi tre aspetti mi sono concentrato all’interno del mio libro, cercando di dare un supporto pratico all’imprenditore (e non solo) bilanciando teoria e pratica, concetti e strumenti guidandolo per mano verso un cambiamento che è prima di mindset e poi concreto e quotidiano!

Le fiere di settore sono ancora il tuo canale di vendita principale?

Impara ad ottimizzare le performance con 10 trucchi di marketing digitale!

 

raffaele_gaito_round.pngChi è Raffaele Gaito?

Imprenditore Digitale, Growth Hacker, Startup Mentor e Blogger.

Affianco Startup, Aziende e Professionisti con consulenza e formazione su tematiche di Marketing e Business. Delle stesse tematiche scrivo sul mio blog raffaelegaito.com

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